Acqua, sangue e PFAS. Il disastro ambientale del Veneto
Gli inquinanti eterni hanno contaminato un’area in cui risiedono 350.000 persone
«[Gli esseri umani del futuro] probabilmente si chiederanno perché ci abbiamo messo così tanto tempo ad aprire gli occhi, vedere ciò che avevamo davanti, capire di cosa si trattasse e prendere dei provvedimenti. Quando l’intera vicenda dei PFAS sarà Storia, l’umanità avrà capito che certe cose non possano più accadere. È a loro, all’umanità del futuro, che dico: abbiate fiducia nei vostri mezzi e non fatevi confondere o distrarre da coloro che hanno come unico interesse il profitto». Robert Bilott
È il 1998 quando i capi di bestiame di Wilbur Tennant, un agricoltore di Parkersburg, in West Virginia, cominciano a morire in massa, apparentemente senza motivo. La proprietà di Tennant si trova però poca distanza dalla discarica usata dall’azienda DuPont per scaricare tonnellate di acido perfluoroottanoico (PFOA). Per cercare di far chiarezza sulle cause arriva l’avvocato Robert Bilott, che l’anno seguente intenta una causa all’azienda: è così che il mondo inizia a scoprire i danni causati dai PFAS.
Lo scorso mese di maggio Bilott si è recato in Italia, per incontrare le comunità colpite da uno dei più gravi casi di inquinamento da PFAS al mondo. Il disastro ambientale interessa un territorio compreso tra le province di Vicenza, Verona e Padova: un’area in cui risiedono circa 350.000 persone. Gianluca Liva è andato in Veneto per raccogliere le storie di lotta e di speranza di chi continua a resistere e a battersi per una giustizia ambientale che, per il momento, continua a essere negata nonostante la responsabilità dell’azienda ex Miteni sia ormai stata accertata.
Quello che ne è nato è un lungo reportage realizzato nel corso dei mesi: trovano spazio le voci degli attivisti della società civile che da anni combattono per avere risposte. Storie di rabbia ma anche di speranza, tra chi si attiva e incalza le autorità ad agire e chi decide di girare la testa dall'altra parte
Potete già leggere le prime due parti dell’inchiesta, con un’intervista esclusiva a Robert Billot. Il reportage fotografico è di Stefano Schirato.
Questa inchiesta è parte di The Forever Pollution Project, un’indagine crossborder a cui hanno partecipato 18 redazioni da tutta Europa. Un gruppo che oltre a RADAR Magazine include Le Monde (Francia), Süddeutsche Zeitung, NDR e WDR (Germania), The Investigative Desk e NRC (Paesi Bassi) e Le Scienze (Italia), e a cui si sono aggiunti Datadista (Spagna), Knack (Belgio), Deník Referendum (Repubblica Ceca), Politiken (Danimarca), Yle (Finlandia), Reporters United (Grecia), Latvijas Radio (Lettonia), SRF Schweizer Radio und Fernsehen (Svizzera), Watershed e The Guardian (Regno Unito).
Nel nostro RADAR
🍝 Ridurre o eliminare il consumo di carne è in cima alla lista delle attività che già possiamo compiere per limitare il nostro impatto sul pianeta. Le alternative ci sono: cosa stiamo aspettando allora? La questione è però più complessa e sottile: quando si parla di cibo, entrano in scena diversi fattori, tra cui quello della cultura. Ne ha scritto Anna Violato nell’ultima puntata di SOLAR.
🇬🇱 Che la Groenlandia un tempo fosse una terra lussuriosa e verdeggiante è uno degli esempi preferiti di chi nega il cambiamento climatico. In realtà la storia è un po’ diversa: c’entra uno dei primi casi di greenwashing della storia, ad opera dei vichinghi. Ne parla nel suo nuovo libro Gianluca Lentini.
🌾 L'uniformità genetica è fondamentale per l'agricoltura moderna, ma ci rende vulnerabili all'insorgere di malattie delle piante: per questo, la prossima pandemia potrebbe colpire le colture.