Cosa conta davvero per affrontare la crisi climatica?
Parte SOLAR, la nostra nuova newsletter per chi lo vuole capire.
Uno dei motivi per cui abbiamo deciso di creare RADAR è che, quando si scrive di problemi ambientali, non si parla abbastanza delle soluzioni. Ma le soluzioni spesso ci sono, e leggerne può motivare ad agire (e a capire, a volte, perché un problema non è ancora stato risolto). Su RADAR cerchiamo di raccontare di persone e iniziative che agiscono per l’ambiente: trovate una selezione di articoli in evidenza nella nostra homepage.
Ma finora abbiamo spiegato poco le soluzioni alla crisi climatica attraverso i dati: per questo parte oggi una nuova newsletter di RADAR che farà proprio questo. Si chiama SOLAR ed esce ogni due mercoledì.
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La temperatura media globale è aumentata di circa 1,1 °C dalla rivoluzione industriale, cioè da quando abbiamo iniziato a bruciare combustibili fossili. Ma metà delle emissioni è recente. Dal 1992 - l’anno della Conferenza di Rio, la prima grande conferenza delle Nazioni Unite a occuparsi del cambiamento climatico, e anche l’anno in cui sono nata io - a oggi abbiamo emesso quasi tanti gas serra quanti nel resto della nostra storia. Con l’attuale ritmo con cui i governi di tutto il mondo stanno effettivamente applicando politiche climatiche, l’IPCC1 stima che entro il 2100 arriveremo a 3,2 °C di riscaldamento globale.
Le conseguenze sono già qui, e diventeranno più gravi con ogni frazione di grado in più: scarsità d’acqua e alluvioni violente, aumento dei prezzi del cibo, estinzione di specie viventi in tutto il mondo, ondate di calore che causeranno più morti e che renderanno alcune regioni invivibili.
Non è il momento di rassegnarsi a un’apocalisse climatica e francamente non lo sarà mai: proprio perché ogni frazione di grado conta, ogni frazione di grado in più che riusciamo a evitare tagliando le nostre emissioni sarà un successo.
Le soluzioni per tagliare le nostre emissioni di gas climalteranti ci sono già: alcune sono tecnologiche, altre no. La maggior parte ha anche benefici che vanno oltre la sola riduzione delle emissioni e non dipende solo dall’azione di singoli individui.
Io sono Anna Violato, giornalista e divulgatrice scientifica nella redazione di RADAR Magazine. Vi racconterò di queste soluzioni su SOLAR: la newsletter per chi vuole capire cosa conta davvero per affrontare la crisi climatica.
È in corso una rivoluzione silenziosa. Nascosta in piccoli locali chiusi, lontani da occhi indiscreti, questa trasformazione sta già dando effetti positivi nella lotta al cambiamento climatico. Nei prossimi anni, aiuterà a ridurre le emissioni di gas serra (e la dipendenza dai combustibili fossili) delle case italiane. Ma se siamo bombardati dalle pubblicità di pseudo soluzioni lucidatissime che promettono di salvare il mondo - SUV elettrici con dettagli fluo ma comunque eleganti, voli low-cost in Grecia che compensano le loro emissioni di CO2, mobili pressoché usa e getta ma con legno da foreste gestite responsabilmente - di questa si fa poco parola. Sto parlando delle pompe di calore.
Brevissimo spiegone: le pompe di calore sono impianti di riscaldamento che prelevano calore da una fonte (per esempio l’aria esterna, il terreno, una massa d’acqua) e lo trasferiscono dove serve, per esempio scaldando l’acqua per i termosifoni. A seconda del tipo di impianto possono funzionare anche come impianto di raffrescamento, semplicemente al contrario: estraggono calore da un ambiente e lo rilasciano fuori. Sono alimentate ad energia elettrica e sono in genere tra le 3 e le 5 volte più efficienti delle caldaie a gas (come riporta l’IEA, l’Agenzia Internazionale per l’Energia), perché la maggior parte del calore è trasferito invece di essere generato.
Ma c’è qualcosa di meno sexy di parlare di caldaie? Se le auto elettriche siano il nuovo messia o solo sporco greenwashing ne possiamo parlare anche davanti a un aperitivo. Le pompe di calore invece hanno un problema di immagine: se ne stanno chiuse nei locali caldaia o dietro l’angolo meno in vista di una casa, e la discussione su quanto sono efficienti e su come riducono i nostri consumi è più adatta al pranzo domenicale con i genitori che a un carosello su Instagram da condividere con la chat di gruppo.
Qualche dato, però, ci aiuta a capire perché ne dovremmo parlare davvero. Il grafico qui sotto riassume le emissioni di gas serra globali, divise per settore: la produzione di energia è senza sorprese la fetta maggiore, ma per capire quante emissioni sono causate dal riscaldamento degli edifici dobbiamo guardare alla sottosezione “Energy use in buildings”. Secondo le stime dell’IEA, più della metà di quel 17,5% deriva dagli impianti di riscaldamento e raffreddamento.
Se guardiamo i dati sui gas serra prodotti dall’Italia, le emissioni dirette dovute agli impianti di riscaldamento sembrano ancora più rilevanti. Il grafico che segue mostra le emissioni del nostro paese nel 2019. Per trovare quelle che derivano dagli impianti di riscaldamento bisogna cercare alla voce “Buildings”, edifici: quei 64 milioni di tonnellate di CO2eq2 derivano interamente dalla combustione in loco di gas fossile e di altri combustibili, che avviene in gran parte nelle caldaie (mentre l’uso di elettricità in questo grafico ricade sotto “Electricity and heat”).
Rispetto ad altri settori ad alte emissioni, non possiamo fare a meno del riscaldamento con la stessa libertà con cui possiamo scegliere di sostituire la bici all’auto per andare in ufficio, o di optare per il treno invece dell’aereo per una vacanza. Le risposte per ridurre queste emissioni quindi sono due: efficienza ed elettrificazione. Dopo un anno in cui abbiamo visto i prezzi dell’energia alle stelle, non ho dubbi che siamo tutti ferrati e tutte ferrate sui modi per risparmiare energia - per scelta o per necessità, visto che già nel 2019 più dell’8% delle famiglie italiane viveva in povertà energetica (e in questi ultimi quattro anni la percentuale è molto plausibilmente aumentata). Mentre costruiamo nuove case a consumi zero o quasi, i cosiddetti Zero-Energy e Near-Zero-Energy Buildings, per chi vive in un edificio datato le opzioni sono limitate: i consumi che non riusciamo ad eliminare vanno coperti con impianti che si basano sull’energia elettrica, che può essere prodotta da fonti rinnovabili (su questo aspetto torniamo tra qualche paragrafo). È qui che entrano in gioco le pompe di calore.
A dispetto di quanto poco se ne parli, i dati sulle vendite di pompe di calore mostrano che questo è il loro momento: nel 2021 in Italia sono state vendute 320 mila pompe di calore ad alta efficienza, più circa 60 mila impianti ibridi, contro circa 1 milione di caldaie a condensazione (ENEA). Nel 2022 però le nuove installazioni sono cresciute del 37%, arrivando a quasi 500 mila unità vendute: il numero più alto in Europa (Carbon Brief). Anche negli altri paesi europei comunque la diffusione delle pompe di calore sta accelerando, come in Polonia (+120%), Svezia (+61%), Germania (+58%). Anche in Norvegia, in cui già due terzi delle abitazioni usano questi impianti per il riscaldamento, le vendite sono cresciute del 25%.
La causa scatenante di questo aumento è stata senz’altro l’aumento del costo di gas e petrolio causato dall’invasione russa dell’Ucraina. Ma è spalleggiata dagli incentivi che in molti dei paesi europei facilitano l’installazione di questi impianti, come il nostro Superbonus e iniziative simili emanate dai governi di Slovenia, Finlandia, Francia e Polonia.
Che la diffusione delle pompe di calore avvenga per motivi economici, geopolitici o ambientali, l’importante è che avvenga. Come altre tecnologie a basse emissioni (prima tra tutte il solare fotovoltaico), stanno già diventando l’alternativa più economica sul mercato. Ma a differenza del fotovoltaico, le pompe di calore mancano in visibilità. Un citatissimo studio del 2014 mette in evidenza come, in un quartiere, una nuova installazione di pannelli solari sui tetti aumenti nettamente la probabilità che ne avvengano altre. Più che il reddito o altri fattori demografici, ciò che ci dà l’ultima spinta a installare un impianto per produrre energia rinnovabile è l’esempio dei nostri vicini: se lo fanno loro, sarà davvero conveniente. Non è un comportamento irrazionale, perché confrontarci con i nostri vicini ci permette di avere informazioni concrete e rilevanti per noi. Si abbassa davvero la bolletta? Che incentivi ci sono adesso? Chi hai chiamato per l’installazione? Con un impianto ben in vista sul tetto, la conversazione parte da sé. Invece una nuova pompa di calore, nascosta sul retro e che magari assomiglia a un grosso condizionatore, non alimenta altrettanto il gossip rionale (o hai esperienze diverse? Scrivicelo in fondo).
Un problema più concreto è quello a cui ho accennato qualche paragrafo più su: come viene prodotta l’energia elettrica che usiamo nelle nostre case. Se il mix energetico italiano è ancora in gran parte dipendente dai combustibili fossili - chiede giustamente (o, più di rado, polemicamente) chi ha dubbi - serve davvero a qualcosa sostituire i generatori di calore? Soprattutto se non abbiamo la possibilità di installare un impianto fotovoltaico sul nostro tetto.
Un primo fattore di cui tenere conto è che le pompe di calore riducono in ogni caso le nostre emissioni di gas serra perché sono molto più efficienti delle caldaie a gas fossile, ma è vero che le azzerano davvero (o quasi) nella misura in cui sono alimentate da energia a basse emissioni. Nel 2021, i consumi italiani sono stati coperti da energia rinnovabile solo per il 19,5% (ValigiaBlu): una percentuale ancora troppo bassa, ma comunque superiore, nel confronto pompa di calore/caldaia, a quella che avremmo con un sistema basato interamente sul gas. Inoltre, nei prossimi anni la percentuale di energia rinnovabile nel mix energetico aumenterà: con il piano RePowerEU, l’Unione europea ha posto l’obiettivo del 45% entro il 2030 per i paesi membri. Un obiettivo su cui siamo già in ritardo, ma che non è fuori portata: lo potremmo raggiungere anche solo replicando il boom di installazioni di impianti rinnovabili che c’è già stato in Italia nel 2011 (Chiudi col gas/Legambiente).
Questo ci porta a quello che - preparatevi - diventerà il mantra di questa newsletter: per affrontare la crisi climatica e ridurre le nostre emissioni di gas serra non c’è una sola soluzione, l’asso di briscola, l’invenzione geniale che da sola cambia tutto. La logica del “sì, ma prima dovremmo occuparci di ben altro” non vale, qui. Siamo di fronte a un ecosistema, imprevedibile e interconnesso, che unisce la nostra cena di stasera con le mangrovie dell’Indonesia, un villaggio dilaniato dalle miniere in Mongolia a un paio di nuovi Airpods, l’asma in aumento e il termometro che sale. Ci sono una miriade di azioni che dobbiamo portare avanti in parallelo: basta dare di nuovo un’occhiata al primo grafico in alto, quello delle emissioni per settore, per capire che dobbiamo lavorare di cesello su ognuno.
Ne aggiungo un altro, non cruciale per le emissioni ma per l’azione: parlare del cambiamento climatico e di come affrontarlo con chiunque ci stia a sentire, in particolare con le persone di cui ci fidiamo e che si fidano di noi. Come per i pannelli solari e i vicini di casa, decidiamo di muoverci - adottare nuovi comportamenti, fare scelte diverse - quando vediamo che anche chi ci sta attorno si sta muovendo. Se siete qui, è perché probabilmente siete preoccupati e preoccupate per il cambiamento climatico. Questo è un invito a iniziare il contagio: il cambiamento inizia parlandone con chi vi sta attorno (e se pensate che sia utile, potete farlo inoltrando a qualcuno questa newsletter).
Cosa ne pensi delle pompe di calore? Cosa ti sta a cuore della crisi climatica? Ci sono soluzioni di cui pensi dovremmo parlare? Scrivicelo usando la casella qui sotto.
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Intergovernmental Panel on Climate Change, il più importante gruppo di ricerca globale sul cambiamento climatico, che fa parte delle Nazioni Unite.
CO2 equivalente, l’unità di misura usata per confrontare e stimare il contributo al riscaldamento globale di diversi gas serra rispetto alla stessa quantità di anidride carbonica.